domenica 1 giugno 2025

«Ama il Peccatore, odia il Peccato»… o viceversa ?!!???

L'odio è diventato un tabù politico
- di David Graeber -

«A ogni cosa è stata assegnata una stagione, sotto il cielo, c'è un tempo per ogni esperienza: ... Un tempo per amare e un tempo per odiare...» (Ecclesiaste, 3:1,8)

   Alla fine del ventesimo secolo, e all'inizio del ventunesimo, è rimasta l'unica emozione che viene considerata come se fosse intrinsecamente illegittima. Abbiamo categorie legali quali "incitamento all'odio" e "crimini d'odio". Per un personaggio pubblico, professare - o anche solo riconoscere pubblicamente - dei sentimenti di odio verso chiunque, fosse anche il suo più acerrimo rivale, per lui significherebbe porsi immediatamente al di fuori del limite di quello che viene oramai considerato come un comportamento politico accettabile. Gli "odiatori" sono persone cattive. In nessun caso potrà mai essere considerato legittimo basare una politica di qualsiasi tipo, o una politica sociale, sull'odio. Siamo arrivati a un punto tale che a malapena si può incoraggiare l'odio anche nei confronti di quelle che sono solo astrazioni. Ad esempio, una volta i cristiani venivano incoraggiati ad «amare il peccatore, e odiare il peccato». Oggi, un linguaggio simile non sarebbe mai stato coniato. Persino incoraggiare gli altri a provare odio per invidia, per orgoglio o per ingordigia verrebbe considerato quanto meno un po' problematico. Non è sempre stato così. C'è stato un tempo in cui si presumeva che l'odio fosse parte viva del tessuto essenziale – anzi, che addirittura costituisse il tessuto essenziale – della vita sociale e politica. Si considerino, ad esempio, le seguenti citazioni:

«[L'imperatore] Commodo aveva ormai toccato l'apice del vizio e dell'infamia. Nel mezzo delle acclamazioni di una corte lusinghiera, non riusciva a nascondere a sé stesso di essersi meritato il disprezzo e l'odio di tutti gli uomini di buon senso e di virtù del suo impero. Il suo spirito feroce era irritato dalla consapevolezza di quell'odio, dall'invidia per ogni tipo di merito, dalla giusta apprensione del pericolo e dall'abitudine al massacro che traeva dai suoi divertimenti quotidiani.»
«Le oneste fatiche di Papiniano erano servite solo a infiammare l'odio che Caracalla aveva già concepito contro il ministro di suo padre...»
«I monarchi persiani abbellirono la loro nuova conquista di magnifici edifici; ma tali monumenti erano stati eretti a spese del popolo e venivano pertanto esecrati in quanto simboli di schiavitù. La paura di una rivolta aveva ispirato le precauzioni più scrupolose: l'oppressione era stata aggravata dall'insulto e la consapevolezza dell'odio pubblico aveva prodotto ogni provvedimento che potesse renderlo ancora più implacabile..
«L'odio di Massimino verso il Senato era dichiarato e implacabile...»
«I leader della cospirazione... riponevano le loro speranze nell'odio dell'umanità contro Massimino.»
«L'impero era stato afflitto da cinque guerre civili; e il resto del tempo non costituì tanto uno stato di tranquillità, quanto piuttosto una sospensione delle armi in mezzo a tanti diversi monarchi ostili, i quali, guardandosi l'un l'altro con occhio di paura e di odio, si sforzavano di aumentare le rispettive forze a spese dei loro sudditi.»
«L'imperatore [Costantino] aveva ora assorbito lo spirito della polemica, cosicché lo stile rabbioso e sarcastico dei suoi editti era destinato a ispirare ai suoi sudditi quell'odio che egli aveva concepito contro i nemici di Cristo.»

   Di tutti questi passaggi – tutti tratti dal "Declino e caduta dell'Impero Romano" di Edward Gibbon – ciò che salta all'occhio è innanzitutto fino a che punto si presumesse allora che l'odio fosse normale. Che i re e i politici odiassero i loro rivali, c'era solo da aspettarselo. I popoli conquistati odiavano i loro conquistatori, i governanti ingiusti venivano detestati, e gli imperatori odiavano il senato, mentre i senatori detestavano la gente comune, così come i consiglieri imperiali e i membri della famiglia dell'imperatore erano a loro volta detestati dalla folla urbana, la quale periodicamente cercava di bruciar loro i palazzi. In maniera ancora più sorprendente, per l'orecchio contemporaneo, nelle opere degli antichi storici o degli antichi moralisti, non traspare minimamente che simili odi potessero essere in linea di principio illegittimi. E anche nel casso che alcuni potessero pensarlo, la maggior parte di essi apparivano del tutto giustificati. Di fatto, l'odio per un sovrano crudele e ingiusto arrivava a essere considerato come una virtù civica. In epoca medievale, i sentimenti di ostilità tra le famiglie importanti, come quelli tra i quartieri e le corporazioni, spesso venivano istituzionalizzati in quelle che divenivano così relazioni di "odio" formale, che venivano considerate semplicemente come la forma inversa di amicizia, come inimicizia, L'uno poteva così anche essere trasformato nell'altro, facendo uso dei rituali appropriati. In Inghilterra, per esempio, si presumeva che, nel corso ordinario degli eventi, sarebbe avvenuto che la gente comune avrebbe detestato il re - anche dal momento che  i reali, nella maggior parte dei luoghi, venivano visti come stranieri - e pertanto ci sarebbero state spesso dei sommovimenti pubblici dovuti al fallimento di qualche progetto reale. Anche il sentimento di odio nei confronti degli uomini di chiesa era inveterato. (Nel 1736, Jonathan Swift scrisse un saggio intitolato “A proposito dell'odio universale che prevale contro il clero”). I diversi rami del clero si odiavano a vicenda: gli scolari odiavano i membri degli ordini monastici, il clero laico detestava i sacerdoti. Secondo Tommaso d'Aquino, anche l'odio verso Dio stesso era preferibile all'incredulità o all'indifferenza, poiché era, a suo modo, una forma di intenso coinvolgimento con il Divino. L'odio, pertanto, faceva parte del tessuto stesso della vita sociale. Né si immaginava che le cose potessero andare diversamente. Né tantomeno si trattava di un fenomeno tipicamente europeo. Passaggi simili potrebbero essere facilmente assemblati per la Cina, l'India, la Valle del Messico, o per quasi tutte le società che esistevano sotto il dominio monarchico o aristocratico.

  Allora: quando è stato che l'odio ha cominciato a cadere in una simile disgrazia? Si potrebbe obiettare che nella letteratura cristiana ci sia sempre stata una tensione di disapprovazione, ma anche la frase «ama il peccatore, odia il peccato» implica tuttavia che è legittimo odiare un peccato, Mentre invece, al giorno d'oggi, le cose sono arrivate a un punto tale che è probabile che anche questo potrebbe essere considerato problematico. Eppure, nella realtà,  l'evocazione dell'amore cristiano, e la sensazione che l'odio politico sia una violazione dei principi cristiani, appare solo nel 19° secolo. In Inghilterra, negli appelli contro “l'odio di classe” dei Chartisti, ritenuto dalle élite politiche, dai riformatori della classe media e dai cristiano-sociali, come qualcosa che avrebbe portato solo a quella stessa violenta invidia, e ai parossismi di vendetta che avevano caratterizzato la rivoluzione francese. L'impulso essenzialmente reazionario può essere visto ancora più chiaramente nella reazione comune dell'epoca a qualsiasi affermazione dei diritti delle donne: le prime femministe venivano immancabilmente denunciate quali “odiatrici di uomini”. Tutto ciò, è importante da tenere a mente poiché, al giorno d'oggi, tendiamo a presumere che l'espressione «politica dell'odio» abbia necessariamente delle implicazioni di destra (dal momento che l'espressione viene normalmente applicata al razzismo, all'odio etnico o all'omofobia) e, di conseguenza, tendiamo anche a presumere che il tabù riguardo l'esprimere odio politico sia un trionfo della sensibilità essenzialmente di sinistra. In effetti, la storia suggerisce invece che questo sarebbe piuttosto tutt'altro che vero. Innanzi tutto - anche nel caso del razzismo, dell'antisemitismo o dello sciovinismo etnico - inquadrare queste cose, facendolo in termini di "odio", significa quasi necessariamente concentrarsi sui seguaci e non sui leader. I grandi assassini del XX secolo non erano degli uomini spinti da terribili passioni, ma erano dei cinici che fomentavano e sfruttavano le passioni altrui. Non è del tutto chiaro se Hitler odiasse personalmente gli ebrei (o se - analogamente - se Stalin odiasse personalmente i kulaki). Ci sono infatti molte indicazioni secondo le quali essi fossero stati emotivamente incapaci di sentimenti così profondi. Inoltre, le passioni che essi hanno manipolato riguardavano ogni segmento dello spettro emotivo, e i loro seguaci uccidevano tanto per amore dell'umanità - o quanto meno per amore della nazione, della famiglia, della comunità - quanto per odio. Considerare che la lezione da trarre da tutto questo è quella per cui si dovrebbe essere contro “l'odio” - e che si debba pertanto creare una categoria di “crimini d'odio” - significa dare tacitamente la colpa agli esecutori e comunicare agli aspiranti manipolatori di massa che il loro mestiere è perfettamente legittimo, ma che esistono alcune leve che non dovrebbero essere azionate. In realtà, se ci pensate bene, il tabù universale che riguarda qualsiasi espressione di odio nella vita politica ha come effetto quello di convalidare tale tipo di manipolazione. Come ho detto, ci si aspetta che i politici di oggi (a differenza di quelli del passato) facciano finta di non provare odio personale per nessuno. Qual è il tipo di persona che può esistere in un simile mondo di costante rivalità, di intrighi e tradimenti, e non odiare nessuno? Ci sono solo due possibilità reali: uno dovrebbe essere un santo, o un cinico assoluto. E nessuno immagina davvero che i politici siano santi. Piuttosto, mantenendo una pretesa superficiale di santità, in tal modo dimostrano semplicemente la profondità del loro cinismo.

  Si potrebbe anche andare oltre. La messa al bando dell'odio, potrebbe essere vista come la mossa di apertura verso un movimento, verso un mondo in cui il cinico perseguimento dell'interesse personale rimane l'unico motivo politico legittimo. Si noti come l'idea stessa di un "crimine d'odio" inverta quello che è il principio giuridico familiare, secondo cui un crimine passionale dovrebbe sempre essere punito meno severamente di quanto si fa con uno che invece è guidato da un freddo ed egoistico calcolo. Probabilmente non è un caso che un'ondata di leggi contro i crimini d'odio, negli anni '90, sia stata ben presto seguita da una legislazione "anti-terrorismo", la quale, nello stesso modo, prevedeva pene per quei crimini che sono guidati dalle passioni politiche (e per come sono generalmente formulate le leggi, queste passioni potrebbero includere anche l'idealismo più benevolo e l'amore per l'umanità o la natura) che fossero più severe di quelle che verrebbero imposte ai medesimi crimini qualora fossero stati commessi per un profitto economico o per personale Interesse. È significativo il fatto che una logica del genere si applichi solo a livello politico. Dopotutto, in gran parte, l'idea stessa di un "crimine passionale" esiste per giustificare la violenza maschile contro le donne in situazioni domestiche. Qualsiasi analisi realistica del modo in cui funziona il potere nella nostra società, dovrebbe cominciare riconoscendo che tali passioni, e la paura e il terrore che creano nelle loro vittime, sono il fondamento stesso di quei più ampi sistemi di violenza strutturale che sostengono disuguaglianze di ogni tipo (comprese quelle apparentemente coperte dai "crimini d'odio"). Eppure, la violenza domestica non viene mai, di per sé, considerata un "crimine d'odio". Qui, le passioni non fanno altro che peggiorare i crimini qualora si svolgono in un contesto esplicitamente politico. A casa, sono invece una circostanza che li esonera! Sembrerebbe che ci siano solo due eccezioni universalmente riconosciute al tabù dell'odio. Ed entrambe sono di per sé eloquenti. Il primo è quello che potrebbe essere definito come "odio dei consumatori". È accettabile esprimere odio - anche passionale - per delle cose che gli altri considerano invece desiderabili, ma però  non lo si fa: per le Boy Band, per le scarpe da ginnastica, per i film dei fratelli Coen, per i funghi o per le acciughe sulla pizza. Questa cosa, naturalmente, è del tutto in linea con il principio generale secondo cui le passioni devono essere limitate agli affari interni, e non alla politica. Il secondo è più ambiguo: l'odio per i criminali. È lecito odiare coloro che, violando la legge, causano dolore e sofferenza. Ma anche in questo caso, forse perché ci troviamo in una zona ambigua che si muove dalla sfera personale a quella pubblica, raramente esso viene esplicitamente inquadrato come "odio". Sembra spesso che ci sia una sorta di timido flirt con un'emozione proibita: come nei Cattivi dei tanti generi di Pulp Fiction - che si tratti di cowboy o di film di spionaggio, di fumetti di supereroi, oppure, soprattutto, dell'infinita letteratura true-crime - oppure di Serial-Killer, dove l’idea sembra essere quella di provare a immaginare un essere umano così straordinariamente detestabile da far sì che si potrebbe essere perdonati per averlo odiato, dopo tutto.

   In America, per esempio, alle vittime di reati, a tal proposito, viene concessa una licenza particolare, dal momento che viene loro permesso – anzi, vengono incoraggiate a farlo– di esprimere le emozioni più odiose concepibili nei confronti dei criminali, ivi compresi i desideri sadici in cui si augura sofferenza ad altri; cosa che non potrebbe mai essere accettabile in nessun'altra circostanza. Ma tutto questo potrebbe essere esteso per mezzo di una forma di licenza. Così, potrebbe sembrare strano vedere gli intervistatori televisivi grondare compassione nel mentre che la vittima di un crimine esprime quel conforto che ella trae dalla disperazione e dalla miseria dell'assassino della figlia («forse è meglio che io pensi che egli abbia la possibilità di essere liberato, di modo che poi così il fatto possa essere rinchiuso di nuovo, lo farà soffrire ancora di più!»); cioè, affinché così ci si renda conto che abbiamo a che fare con una sorta di pornografia dell'odio, in cui la virtù morale di entrare in empatia con chi ha sofferto fornisca un alibi per l'esperienza vicaria di quei sentimenti che altrimenti si dovrebbero trattare come profondamente riprovevoli. Faremmo bene - credo - a imparare un po' di più dal mondo antico. L'odio per l'ingiustizia può essere una forma di virtù. Per quanto Tommaso d'Aquino abbia scritto a proposito dell'odio per Dio, a fronte di strutture di potere ingiuste, esso rimane quantomeno superiore all'indifferenza o all'incredulità. Dobbiamo riconoscere che molte forme di odio possono essere una forza sociale positiva: l'odio per il lavoro, l'odio per la ricchezza, l'odio per la burocrazia, l'odio per il militarismo, per il nazionalismo, per il cinismo e per l'arroganza del potere. E il fatto che, in molte circostanze, questo significherà anche odio per i singoli capi, per i magnati, per i burocrati, per generali e i politici; e andrà a formare un ricco sentimento di realizzazione allorché si saprà di essersi guadagnati il loro, di odio. Escludere assolutamente l'odio dalla politica significa invece strappare la fibra, negare il motore principale della trasformazione sociale e, in ultima analisi, ridurlo a un sorta di piatto cinismo senza speranza. Significa anche escludere ogni reale possibilità che esista una politica di redenzione. Senza l'esistenza dell'odio, l'amore non ha senso. È solo un'insipida idealizzazione, sia di sé che dell'oggetto della propria devozione. Come tale è fondamentalmente sterile. Il vero amore, l'unico veramente degno di questo nome, è una sorta di superamento dialettico. Diventa possibile solo nel momento in cui si arriva a comprendere la piena realtà della persona amata, il che significa necessariamente incontrare anche quelle qualità che si trovano esasperanti, disgustose o detestabili. Sicuramente, se si conosce abbastanza qualcuno, si troverà in lui qualcosa che si detesta. Ma ciò avviene solo quando lo si incontra e si decide comunque di amarlo, si decide si può parlare di amore in quanto forza attiva, redentrice e potente. E qualche elemento di odio, per quanto piccolo, deve sempre rimanere perché tutto ciò continui a essere vero. Il vero amore può essere tale solo se vince l'odio, ma non annichilendolo, bensì contenendolo e trascendendolo, e non solo una volta, ma per sempre.

   Dovrei anche aggiungere che questo non vale solo per l'amore romantico, ma anche per le famiglie, le amicizie e persino, seppure in forma più attenuata, per le comunità e le associazioni politiche. Credo che qui si trovino delle profonde lezioni per la pratica della solidarietà, dell'aiuto reciproco e della democrazia diretta. Le comunità tradizionali - ci viene spesso detto - possono prendere decisioni collettive per consenso, o impegnarsi in forme di sostegno reciproco e cooperazione, perché sono dei gruppi relativamente piccoli e intimi con delle sensibilità comuni; questo non sarebbe possibile, presumibilmente, per gli organismi più grandi e impersonali riuniti nelle metropoli contemporanee. Ma chiunque abbia trascorso un po' di tempo in una comunità così piccola e intima sa che essa è anche attraversata da un odio profondo e duraturo. Se ci pensate, come potrebbe essere altrimenti? Partecipare a una riunione pubblica in un villaggio significa cercare di prendere una decisione comune in un gruppo che contiene tutti coloro che hanno insultato la propria madre, sedotto il proprio coniuge o amante, rubato il proprio bestiame o reso ridicolo di fronte ai propri amici. Eppure, in generale, sono in grado di farlo comunque. Questo superamento dell'odio comunitario è la manifestazione concreta dell'amore collettivo. È molto, molto più difficile da realizzare di una decisione impersonale tra persone che si conoscono poco, al di là del fatto che sono unite in opposizione a qualcos'altro. Una vera geografia dei gruppi rivoluzionari, allora, comincerebbe non immaginando dei gruppi basati su una solidarietà perfetta e idealizzata (per poi lamentarsi del fatto che in realtà non esistono), ma piuttosto, tracciando delle linee entro le quali tali reti di odio sono state - e continuano ad essere - attivamente superate attraverso pratiche di solidarietà, e attraverso le quali gli odi (giustificabili) non possono essere superati senza trasformare la loro base istituzionale fondamentale; che si tratti dell'organizzazione dei luoghi di lavoro, degli uffici governativi o delle famiglie patriarcali. Una volta che smetteremo di vedere l'odio come qualcosa di cui vergognarsi, diventerà semplicemente ovvio che anche gli odi più profondi e personali possono essere superati all'interno di relazioni di solidarietà – infatti, vengono superati, su base giornaliera, in qualsiasi gruppo sociale che non sia completamente disfunzionale: il che, a sua volta, renderà ovvio che una volta distrutte quelle strutture istituzionali, nessun essere umano rimarrà al di là della redenzione.

- David Graeber -fonte: David Graeber Institute -

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