lunedì 2 giugno 2025

L'Ultimo Imperativo Capitalistico !!!

Per una presa di coscienza militante della crisi
- Un contributo alla discussione sull'orientamento strategico della pratica emancipatoria nella crisi del sistema socio-ecologico -
di Tomasz Konicz

È un classico stratagemma degli ideologi reazionari, quello che serve a contrapporre la questione sociale alla protezione del clima. Dall'AfD a Sahra Wagenknecht, da Friedrich Merz a Klaus Ernst, quando arriva il momento di impedire l’attuazione delle misure di protezione del clima, ecco che amano tutti agire come se fossero dei difensori del "piccolo uomo" che rischia di essere schiacciato. E come avviene per ogni ideologia, in questo c'è anche del vero. Il granello di verità distorta, presente in questa narrazione, consiste nel fatto che la lotta per il clima guidata dal capitalismo interno, in realtà aumenta la pressione sui salariati. Il "collante climatico" di Ultima Generazione stressa quei pendolari che arrivano in ritardo al lavoro. Per i lavoratori dipendenti, la protezione del clima si manifesta sotto forma di un aumento dei prezzi dell'energia, o di un ripercuotersi su di loro dei costi di ristrutturazione delle abitazioni, o sugli affitti. E infine, c'è da dire che milioni di salariati in Germania lavorano nelle industrie dei combustibili fossili, i quali possono riprodurre la propria forza lavoro solo producendo motori a combustione. I pifferai magici di ogni tipo, hanno pertanto vita facile a sfruttare le conseguenze sociali prodotte dalla contraddizione tra economia ed ecologia. La menzogna, che fa di questa narrazione un'ideologia, è proprio quella in grado di ignorare tale contraddizione fondamentale esistente tra capitale e clima. La relazione di Capitale deve bruciare quantità sempre maggiori di risorse, nella produzione di merci, al fine di ricavare sempre più denaro dal denaro, nel suo illimitato movimento di valorizzazione. Dal momento che il lavoro salariato costituisce la sostanza del capitale, ecco che allora tutti gli aumenti di produttività portano anche ad un aumento della produzione di beni, e perciò anche alla fame di risorse, da parte della macchina di produzione globale. Tutte le società tardo-capitalistiche dipendono in una certa misura dal "gocciolamento" di questo processo di incendio del mondo, sotto forma di salari e di tasse. Si tratta di una contraddizione che non può essere risolta all'interno del capitalismo. Il capitalismo ne è pieno. E questa contraddizione pervade tutti i salariati, così come l'industria automobilistica, i quali così pagano la propria casa a schiera e finanziano gli studi dei loro figli, mentre simultaneamente diventa sempre più chiaro quale prezzo ecologico micidiale dovrà essere pagato a causa di  tutto questo. La crisi climatica rende evidente che la classe operaia - in quanto "capitale variabile" all'interno della distruzione capitalista - non è un soggetto rivoluzionario, e che la lotta di classe è una semplice lotta per la distribuzione. In che modo, le forze emancipatrici dovrebbero affrontare una simile demagogia, che contrappone la crisi sociale del capitale alla crisi ecologica? Spesso, vediamo dei tentativi apparentemente impotenti, da parte di vecchi marxisti ben intenzionati, di costruire una corrispondenza tra classe economica, o tra i cosiddetti "interessi dei lavoratori" e la protezione del clima, nella quale viene ignorata la contraddizione tardo-capitalistica delineata sopra. Sarebbe invece arrivato davvero il momento di dire chiaramente che cosa sta succedendo, in modo da affrontare queste contraddizioni, così come la crisi sistemica che ne è alla base, anziché nasconderle sotto il tappeto. Il fatto che i salariati debbano scegliere - su base giornaliera - tra sopravvivenza sociale qui e ora e il collasso climatico nei prossimi anni, è un'espressione della necessità di superare la costrizione alla crescita capitalista.

A proposito di ciò che sta succedendo
Di conseguenza, la risposta necessaria e radicale a tutta la demagogia che contrappone la protezione del clima agli interessi interni capitalistici dei salariati è la lotta per la trasformazione del sistema. Il capitale non solo non riesce a conciliare questioni sociali e climatiche, ma è anche semplicemente incapace di risolvere la crisi climatica, o la crisi sociale, proprio a causa della sua compulsione allo sfruttamento, alimentata da sempre più crescenti contraddizioni. Ma oggi bisogna che il Capitale venga trasformato in Storia. È questa la risposta corretta, non solo a tutta la demagogia, ma anche alla doppia crisi del capitale; piuttosto che parlare della costruzione di soggetti rivoluzionari, che purtroppo non esistono. Per dirla nel gergo del vecchio marxismo del movimento operaio: l'operaio potrebbe diventerebbe un "soggetto rivoluzionario" solamente se non volesse più essere un operaio. Dal momento che infatti non c'è alcuna classe di per sé che possa funzionare come soggetto rivoluzionario in base alla sua posizione nel processo di produzione, ecco che allora l'unica speranza rimasta è quella che nella popolazione si formi una coscienza di crisi radicale, la quale possa funzionare come base per un movimento di trasformazione emancipatrice. Pertanto, in tutti gli sforzi pratici, è fondamentale raccontare alle persone cosa sta accadendo per quanto riguarda la crisi; al fine di sviluppare una consapevolezza, tanto del carattere quanto della profondità, della crisi in cui ci troviamo. Il capitale, in quanto cieca dinamica di valorizzazione feticistica in processo, si scontra con quelle che sono le sue barriere, interne ed esterne, allo sviluppo, e in seguito a questo priva la civiltà umana dei suoi mezzi di sussistenza sociali ed ecologici. Il superamento collettivo della relazione di capitale diventa così una questione di sopravvivenza sociale. Ed è proprio questo che bisogna che venga trasmesso alla popolazione in tutte le lotte concrete che divampano a causa delle contraddizioni e degli sconvolgimenti che si stanno intensificando a causa della crisi.

Crisi, concorrenza, istinto di sopravvivenza e sublimazione
L'idea che il sistema sia in grave crisi è dappertutto onnipresente. Riflette l'intensificarsi degli sconvolgimenti, ed è all'origine della consueta interazione tra il declino sociale e l'aumento del comportamento competitivo. È proprio questa concorrenza di crisi, alimentata dal nudo istinto di sopravvivenza, che contribuisce causalmente all'imbarbarimento del capitalismo e all'ascesa della Nuova Destra; la quale copre questa competizione di crisi attraverso il razzismo, il nazionalismo, l'antisemitismo, il fanatismo religioso e così via. Questo istinto di sopravvivenza praticato inconsciamente, che si riflette nella crescente concorrenza tardo-capitalista della vita quotidiana, andrebbe invece "sublimato" nel quadro di una pratica emancipatrice. Ciò va inteso come riflessione cosciente sulle cause inconsce dell'azione sociale, e in questo caso l'interazione esistente tra pensiero competitivo e processo di crisi sistemica. Allo stesso modo in cui il cieco istinto di sopravvivenza dei soggetti del mercato, non fa altro che accelerare le dinamiche della crisi, aprendo le porte alla barbarie, ecco che un bisogno collettivo riflesso di sopravvivere, motivato dalla necessità di sopravvivere al superamento del capitale da parte della società nel suo insieme, potrebbe costituire un potente fattore motivante per le forze emancipatrici, nella lotta per la trasformazione del tardo capitalismo. Una coscienza di crisi radicale, consapevole dell'insolubilità della doppia crisi capitalistica socio-ecologica, e della necessità di sopravvivere alla trasformazione del sistema.

Che cos'è la lotta per la trasformazione?
Di conseguenza, non c'è bisogno di fare una rivoluzione, dal momento che il capitale si smantella da solo. E in realtà, nelle sue fasi iniziali, il processo di trasformazione è  già in atto. La crisi procede come se fosse un processo feticistico, incontrollabile, sulla società, che si svolge in fasi di competizione e di mercato, senza prestare attenzione alle opinioni e ai calcoli degli occupanti del tapis roulant capitalista. Anche se i salariati non volessero ammetterlo, anche se tutti i settori rilevanti della popolazione dovessero aggrapparsi al capitalismo, il sistema crollerebbe a causa delle sue contraddizioni interne. Ciò che resta da vedere, tuttavia, è ciò che verrà dopo – ed è proprio per questo che la lotta per la trasformazione deve essere intrapresa. La società post-capitalista potrebbe sprofondare nella barbarie o realizzare momenti di emancipazione. Molto è ancora possibile. Poiché anche il corso di questo sconvolgimento è a tempo indeterminato, qui viene utilizzato il concetto aperto di trasformazione, che si suppone comprenda tutti i tipi di transizioni, che siano coordinate o caotiche, pacifiche o violente, e portino verso un'altra formazione sociale (ivi compresa anche solo la minaccia di una transizione al collasso). In realtà, la lotta per la trasformazione sta già infuriando, ma non viene percepita come tale. Le dinamiche della crisi vengono portate avanti dall'escalation dei conflitti globali e intra-sociali, ragion per cui oggi  l'emergere della Nuova Destra, insieme al pericolo di una gestione autoritaria e fascista della crisi, sta rendendo l'antifascismo la linea centrale del fronte che separa le forze reazionarie da quelle progressiste. Ecco perché le attività trasversali della sinistra sono così devastanti. Sulla base delle lotte concrete che vengono ancora condotte dai campi politici  - i quali si auto-erodono - si deciderà in che direzione il capitalismo, che è in agonia, finirà per vacillare. La lotta per la trasformazione, consiste perciò nel comprendere le lotte concrete alimentate dalla crisi socio-ecologica mondiale del capitale, in quanto momenti parziali di una lotta perché si eserciti il corso concreto dell'inevitabile trasformazione del sistema, e per condurle, di conseguenza, in maniera da diffondere tra la popolazione la consapevolezza della crisi. Tutto questo, costituisce la grande parentesi che minimizza la concorrenza di movimento, poiché essa può riportare i diversi movimenti progressisti nel contesto di un denominatore comune, riunendoli in quanto momenti parziali di una lotta comune per un processo di trasformazione emancipatrice. Non c'è bisogno di allucinare le concomitanze di interessi intra-capitalistici tra i "combattenti di classe" e gli attivisti per il clima, dal momento che entrambi i movimenti sono solo momenti parziali di un movimento. Diventa pertanto cruciale,  la consapevolezza a partire dalla quale vengono condotte le proteste e le lotte attuali, anche se il loro corso concreto non differisce necessariamente molto dalle vecchie lotte riformiste immanenti, che si sono viste nel sistema, all'inizio. L'obiettivo di un simile confronto, consapevolmente condotto, apparentemente immanente al sistema – lotta per il clima, lotta salariale, protesta Antifa, manifestazioni contro lo smantellamento della democrazia, lotte difensive contro i tagli sociali, ecc. – è destinato a cambiare non appena viene a essere permeato da una coscienza trasformazionale – vale a dire, nel momento in cui viene compreso - e si propaga -  come fase iniziale della lotta per la trasformazione. Il percorso diventa la meta: quella che è l'auto-organizzazione delle persone, nei corrispondenti movimenti di opposizione, dovrà allora essere già sostenuta dallo sforzo di formare momenti di socializzazione post-capitalista.

Pensare nella crisi
Non si tratta più di riparare il sistema malato, ma di trovare delle vie d'uscita ottimali dalla crisi permanente del capitalismo, sulla base di lotte concrete, proprio perché un crollo del capitale nella barbarie e nel collasso segnerebbe per la sinistra l'ultima sconfitta. La sinistra deve pertanto intendere la crisi come un processo che si svolge per fasi, e quindi, di conseguenza, deve anche pensare per processi, per sviluppi: percepire le strutture sociali esistenti vedendole come in processo di decadenza, individuare le contraddizioni decisive e - in previsione degli enormi sconvolgimenti futuri - creare le migliori condizioni sociali e il punto di partenza ottimale per la trasformazione emancipatrice. Simultaneamente, si pone in modo assai concreto anche la questione di quali strutture politiche, quali configurazioni di potere sociale dovrebbero prevalere nella prossima crisi. Il processo di crisi che si svolge alle spalle dei soggetti, può incontrare anche delle società tardo-capitaliste strutturate in modo molto diverso. Possono essere oligarchici, pre-fascisti o democratico-borghesi, più o meno egualitari o di tipo borghese, nazionalisti o cosmopoliti, laici o fascisti religiosi, e così via. La lotta di classe, se sostenuta da una coscienza radicale della crisi, può funzionare come forma germinale, e come momento parziale della lotta per la trasformazione, tanto quanto può funzionare la lotta per il clima. Una chiara posizione frontale contro il fascismo e contro l'opportunismo di crisi (porre apertamente la trasformazione, rappresenta il miglior antidoto all'opportunismo) dovrebbe perciò accompagnarsi a un approccio integrativo che vada il più lontano possibile, al fine di creare così le condizioni ottimali per la trasformazione, costruendo al contempo anche ampie alleanze. Anche se la difficoltà di una simile politica di alleanze sta, da un lato, nell'individuare quelle forze che abbiano il potenziale per poter guidare l'ulteriore processo di trasformazione in una direzione emancipatoria e, dall'altro, di portare in questi movimenti una consapevolezza radicale della crisi. Tuttavia, è comunque importante evitare una gerarchizzazione delle lotte che sfocerebbe in delle contraddizioni, sia principali che secondarie, relative alla lotta di classe. Le lotte di classe, nelle lotte salariali o nelle proteste sociali, possono servire solo se si pongono su un piano di parità con le altre lotte sociali, come quelle Antifa, la lotta per il clima, l'antimilitarismo, il femminismo, la difesa della democrazia, l'autodeterminazione sessuale, ecc. sempre all'interno di un movimento di trasformazione volto a superare, nel corso dei conflitti, la loro falsa immediatezza. Le lotte sociali, le proteste o le lotte di redistribuzione diventerebbero così solo dei momenti di lotta per la trasformazione, condotte attraverso l'introduzione di una consapevolezza radicale della crisi, la quale si intensificherebbe molto rapidamente nel momento in cui i punti appariranno quei punti di non ritorno - sociali o ecologici - che stanno sempre più collassando. Anche quelli che sono solo degli approcci pratici abbreviati - come la lotta di classe, che viene spesso condotta a partire da una falsa immediatezza, o come i contro-concetti del movimento post-crescita e decrescita, che sono ciechi ai vincoli di un dominio tardo-capitalista senza soggetti - potrebbero sperimentare la loro fusione proprio qui, nella lotta concreta e consapevolmente condotta per un futuro post-capitalista. La lotta per la trasformazione progressiva, sarebbe così la fusione di entrambi gli impulsi nella lotta per la sopravvivenza del processo di civiltà, il quale potrà essere mantenuto solo realizzando delle alternative sociali. Il concetto di emancipazione emerge anche a partire dalla lotta per la trasformazione: si tratta di un'emancipazione dal feticismo sociale, vale a dire, dall'eteronomia dei soggetti, attraverso le dinamiche sociali che questi stessi soggetti producono inconsciamente, con la mediazione del mercato. Ciò può essere fatto solo da un movimento che sia consapevole della propria situazione. Ecco perché è importante dire alla gente che cosa sta succedendo, perché solo in una lotta cosciente per un futuro post-capitalista, derivante dall'intuizione della necessità, potranno sorgere momenti di emancipazione. Nel tardo capitalismo, la lotta contro lo smantellamento della democrazia  dovrebbe pertanto essere condotta come una lotta per mantenere dei percorsi di trasformazione non violenta, proprio perché la crisi incoraggerà la fuga autoritaria verso la fede nello Stato. Orientarsi verso una formazione sociale post-capitalista, dovrebbe non solo porre fine alla brama autoritaria per lo Stato, delle parti conservatrici delle linee della tradizione, ma dovrebbe anche minare la narrazione reazionaria della rinuncia al consumo: in una società post-capitalista, i bisogni umani si troverebbero così liberati dal corsetto coercitivo della forma merce. Questa liberazione, dei bisogni, dalla costrizione al consumo della forma merce, potrebbe in tal modo portare a risparmiare massicciamente risorse, senza che questo sia percepito come una rinuncia al consumo. Di conseguenza, malgrado tutte le evidenze, è perciò necessario lottare per poter dare forma all'inevitabile processo di trasformazione, il quale certamente abolirà l'attuale stato di cose, ma che tuttavia rimane aperto nel suo corso e nel suo esito, e si tradurrà nella lotta per la trasformazione per mezzo di un movimento che agisce consapevolmente. Eppure qui dovranno apparire delle forme germinali di una società post-capitalista, che devono essere consapevolmente progettate ai fini della riproduzione, in un processo di comprensione democratico egualitario e di base. La trasformazione del sistema è inevitabile, ma è importante indirizzarlo in una direzione progressiva, emancipatrice. Non c'è alcuna alternativa se non quella di affrontare questo sforzo apparentemente megalomane, giacché il sistema, seguendo il suo stesso slancio distruttivo, minaccia di trasformarsi in collasso e in barbarie. La trasformazione del Capitale in Storia costituisce l'ultimo imperativo capitalistico.

- Tomasz Konicz - Pubblicato su Arranca #56, Sommer 2024 -

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